il saggio di michele grimaldi

«La macchia urbana», viaggio alle origini della città (e delle sue disuguaglianze)

di Fr.Pr.

I sobborghi di Rio de Janeiro, «teatro» della disuguaglianza urbana (Afp)

2' di lettura

Alle radici della disuguaglianza urbana attraverso un viaggio che passa per la storia, l’economia e la cultura nel senso più ampio del termine. È il percorso intrapreso da La macchia urbana, saggio scientifico di Michele Grimaldi (Aracne Editrice, euro 17, pp. 416) che va a indagare il rapporto tra lo spazio fisico della città e la forma economica capitalista. Percorso in tre tappe, quante sono le parti in cui è diviso il libro: la genesi e l’evoluzione del fenomeno urbano, le criticità della città globale, le alternative al costante ma crescente fenomeno della mercificazione delle città stesse.

Seguendo una linea ideale che congiunge il villaggio neolitico alle moderne metropoli, passando storicamente attraverso la città industriale e quella fordista, e geograficamente tra la Parigi di Haussmann, la Rio de Janeiro dell’Expo del 1908, la Rust Belt, la Chandigarh di Le Corbusier, la New York di Jane Jacobs e Robert Moses, il testo racconta le varie fasi del rapporto tra la vita cittadina e le scelte e i dogmi economici imperanti nelle rispettive epoche, tenendo come punti fermi dell’analisi la geografia spazialista di David Harvey e una chiave di lettura che potrebbe essere definita marxiana.

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Tra citazioni attinte dalla cultura pop e un apparato di dati molto dettagliato, La macchia urbana prova insomma a spiegare il passaggio dall’economia alla finanziarizzazione con la necessità del ciclo di accumulazione e di reinvestimento del capitale, per mezzo dell’urbanizzazione. Gli immobili e il mercato immobiliare diventano così non più obiettivi ma denaro-moneta, fino a essere definiti «casseforti nel cielo», in un processo che necessita di una violenta quanto primitiva spoliazione di risorse dei (pochi) più forti verso i (molti) più deboli e di un controllo delle stesse da parte di una ristretta élite. Questa frattura, spiega Grimaldi, fa delle città il mezzo, e al tempo stesso il luogo, dove si riverberano gli effetti del processo di finanziarizzazione del capitale e del legame sempre più stretto tra economia e urbanizzazione.

Temi di stretta attualità, come la securizzazione dei contesti urbani, la privatizzazione dei servizi pubblici, la segregazione razziale e residenziale degli spazi, trovano nel testo di Grimaldi una chiave di lettura alternativa alla narrazione mainstream, anche con una critica esplicita a molti processi di rigenerazione urbana che dietro il mantra del decoro o delle città smart nascondono talvolta rischi di speculazione. Tra «turistizzazione» dei centri urbani e gentrification quartieri popolari, quel complesso di processi che si ha quando la popolazione benestante comincia a investire nelle aree periferiche, fino a un giorno prima popolate dalla working class. Il testo si chiude comunque con una nota di speranza, rappresentata dal valore dei «Commons», dalle idee di Peter Marcuse, avvocato e urbanista statunitense - figlio di Herbert – e da una lettura in chiave moderna del «diritto alla città» teorizzato dal filoso francese Henry Lefebvre.

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